Le trasformazioni in atto nei paesi dell’Africa meridionale porteranno o meno all’estinzione del popolo dei Boscimani e della sua cultura?
Analizzando il quadro attuale, direi che i presupposti per un’estinzione graduale siano già in atto da tempo e in maniera irreversibile.  

Non possiamo parlare di culture immutate nel tempo, perché come ci racconta la storia, tutta l’Africa meridionale è stata oggetto d’incontri e scontri tra diverse popolazioni.
Certo è, che agli occhi di un visitatore esterno, questo popolo appare come è rimasto alle origini. Questi si sente come, un avventuriero, quasi un esploratore sulle tracce del famoso David Livingstone scopritore delle cascate Vittoria. Il turista medio ha infatti la presunzione, al rientro dal viaggio, di essere riuscito a cogliere da alcuni frammenti di vita un intero mondo, sconosciuto alla sua realtà quotidiana. Considerato che tutto è organizzato per favorire questa percezione, è chiaro che ci troviamo di fronte a un’evidente e inconsapevole alterazione della realtà.
In Botswana convivono varie discendenze culturali, ognuna delle quali con caratteristiche proprie. Non dobbiamo dimenticare che un tempo i “padroni di casa” erano i boscimani, oggi considerati ospiti indesiderati.
Per quale ragione? Forse perché troppo primitivi, rispetto alla cosiddetta “società civile”?
In effetti le differenze ci sono e sono anche evidenti; preso atto di ciò è proprio l’elemento della spiccata diversità, il punto da cui iniziare un percorso di tutela e valorizzazione.
Oggi la concentrazione maggiore di Boscimani è in Botswana e Namibia. Questo popolo ha un forte richiamo sui turisti che decidono di recarsi in queste aree. Infatti gli operatori e le guide turistiche includono nei loro programmi di viaggio le visite alle Riserve e l’incontro con i cacciatori - raccoglitori in uno dei piccoli villaggi.
All’interno di queste comunità il boscimane non conduce una vita dedita alla caccia e alla raccolta, ma è a disposizione dei numerosi turisti che, armati di macchine fotografiche e videocamere, immortalano ogni momento vissuto nel villaggio. Le gesta, le danze, la preparazione degli strumenti per la caccia, sono tutte azioni accuratamente studiate per l’intrattenimento.
L’uomo occidentale, è consapevole del fatto che questa diversità permette al governo locale di trarre un profitto economico. La spirale che si innesca è presto spiegata; il boscimane, oramai emarginato si trova nell’esigenza di ricorrere a mezzi diversi da quelli che gli sono propri, per potersi sostentare, mentre l’europeo che invece, possiede il potere economico, monetizza, la cultura di questo popolo, riducendola a mero spettacolo e pensa con la sua presenza di contribuire a migliorare le condizioni di vita di questo popolo.
Se il risultato di millenni di tradizioni è questo, ritengo che questo popolo stia già effettivamente scomparendo. Ma fortunatamente esistono ancora piccoli gruppi che si sottraggono a questa perversa spirale e continuano il loro percorso “primitivo”, mantenendo per quanto possibile inalterata la loro cultura.
Ritengo inoltre che il futuro degli uomini della boscaglia, dipenda da alcuni elementi quali le politiche conservative, la società intesa come una grande cooperazione e il turismo ecosostenibile.
Le politiche volte allo sviluppo economico devono necessariamente tenere in considerazione le politiche di conservazione perché il futuro di una società è inscindibile dalla storia della società stessa.
Va fatto notare, che la politica intrapresa dal governo, per esempio nel caso del Botswana, è tutt’altro che proiettata verso un lavoro di conservazione; infatti dalla seconda metà del ventesimo secolo, i boscimani si sono dovuti scontrare con azioni che miravano soprattutto allo sfruttamento delle miniere di diamanti situate in un’area destinata esclusivamente a loro e al loro habitat, all’interno del Central Kalahari Game Reserve.
Gli sfollamenti forzati a cui sono stati sottoposti e le lotte intraprese per riappropriarsi della propria terra, hanno ulteriormente indebolito una cultura già fragile.
Certo che se la società fosse intesa come una grande struttura di cooperazione solidale tra individui, sicuramente le minoranze risulterebbero più tutelate. Purtroppo così non è.
Stesso discorso vale per il concetto di integrazione. Sapere accettare le differenze dell’altro facendole coesistere con le nostre nel rispetto reciproco, è un principio fondamentale, fra culture diverse. Purtroppo in molti Paesi del mondo, Botswana incluso, tale principio è ancora disatteso.
Infine il turismo. Questo settore se sviluppato secondo principi etici e responsabili può diventare un mezzo concreto di salvaguardia di questo popolo e del suo ambiente. In particolare l'ecoturismo stabilisce come principio fondamentale il rispetto delle aree contribuendo alla conservazione e al miglioramento della vita biologica, compresa quella della grande fauna che occupa un ruolo di primaria importanza.
In Africa meridionale esistono molte riserve d’incredibile bellezza che purtroppo non sono valorizzate secondo i principi del turismo sostenibile. Al contrario l’offerta turistica più diffusa, pubblicizza attraverso copertine patinate, è quella di parchi o riserve dove è possibile incontrare felini e vivere in una natura incontaminata; dove si può incontrare e ammirare un popolo antico, stando comodamente seduti ai bordi di una piscina sorseggiando un drink, in una delle tante strutture di lusso messe a disposizione del turista “mordi e fuggi”.
Sono fermamente convinta che vivere l’Africa non sia per il “turista” ma per il “viaggiatore” anche se tra i due termini non esiste una linea netta di demarcazione. Per viaggiatore intendo colui che vuole capire il luogo e le persone che lo abitano, nel dovuto rispetto del loro mondo. Turista, invece, nel linguaggio comune è colui che vuole vivere i luoghi sempre nell’agio e nelle comodità a cui è abituato, fotografando e acquistando souvenir come ricordo da esibire una volta ritornato a casa.



Debora Goretti